Il Bisogno di Milano

Sintesi del quinto confronto pubblico di Fare Milano a cura dell’Istituto per la Ricerca Sociale.

Video Realizzato da Luca Cusani e Elia Rollier, cinevan.it

Quinta giornata di confronto e discussione sul futuro di Milano. La giornata si apre con una breve restituzione di quanto emerso nei tavoli di lavoro della prima settimana, coordinati dall’Istituto per la Ricerca Sociale. Si parte dai bisogni, consapevoli che la pandemia ha reso più veri e urgenti dei trend che già presentavano delle forti criticità: invecchiamento della popolazione, aumento della povertà e delle disuguaglianze, nuove vulnerabilità.

L’impennarsi di disoccupazione, contrazione dei consumi, incremento delle richieste dei bisogni primari, aumento dei senza dimora sono solo alcuni dei segnali più evidenti dell’acuirsi delle differenze. La pandemia ha reso emergenziale la questione dell’isolamento, in particolare dei più fragili. In una città in cui il 50% delle famiglie è unipersonale, l’assenza o il ritardo nella cura stanno aggravando le condizioni degli anziani. Chi non è autosufficiente si scopre meno supportato, dopo le tragedie delle RSA e RSD. L’emergenza ha acuito le disuguaglianze in ambito scolastico e fatto emergere con ancora più forza il fenomeno della povertà educativa, in termini di opportunità, strumenti e supporti. Le difficoltà dei minori si sono fatte più pressanti dove la distanza ha impedito ai servizi sociali e socioeducativi di trovare opportunità di relazione e intervento al di fuori del contesto familiare. Infine, il tema della casa, sia quando c’è che quando non c’è o rischia di non esserci più. Dal tema della conciliazione vita e lavoro - centrale anche nel tema terza giornata di Fare Milano, Smart & Working –, a quello dei conflitti di vicinato e delle convivenze forzate, al rischio degli sfratti, se le misure di garanzia finiranno. Un rischio che a sua volta potrebbe far scaturire un aumento delle persone che si rivolgono ai servizi sociali.

Segue l’intervento dell’Assessore Rabaiotti, che sottolinea come il bisogno di Milano costringa a guardare oltre quello che è stato fatto, anche se quello che il Comune e la città nel suo insieme hanno messo in campo per il sistema del welfare negli ultimi anni è stato molto importante e non deve essere dato per scontato. Urgono però forme e modelli nuovi che alleggeriscano l’amministrazione dalla macchinosità amministrativa. Senza questa ristrutturazione la risposta pubblica è destinata al fallimento, impotente davanti alle sfide che si prospettano.

Un sistema a risorse limitate costringe a fare una selezione dei bisogni più importanti della città e a indicare delle priorità su cui muoversi, con l’obiettivo di dare di più a chi ha di meno: la povertà oggi è la questione più urgente. La risposta nei prossimi mesi si dovrà configurare intorno a tre nodi: quartieri e territorio; lavoro; forme di governo del welfare. Così si suddividono anche gli interventi della giornata.

Bisogna mettere tutti nelle condizioni di vivere i quartieri e tutti i quartieri di essere vissuti. Nel primo caso, i diversi contributi della giornata suggeriscono la creazione o il potenziamento di un sistema di risposta territoriale integrato, nell’accesso ai servizi e nell’accesso alla salute e alla cura. La vicinanza è condizione necessaria per rendere possibile la ‘cura’. Per fare questo serve un progetto per gli abitanti, un patto territoriale che sia anche pretesto per allineare gli sforzi di chi opera sul territorio e dell’amministrazione in una direzione comune, andando a fare sintesi e riorganizzando tutti i servizi pubblici e privati che insistono sulla scala di quartiere, per evitare dispersione di risorse e creare punti di contatto con gli abitanti. Un patto che permetta a tutti i quartieri di essere vissuti, di essere permeabili alla città. Oggi, diversamente da un tempo, questa prospettiva non solo può essere richiamata ma anche praticata; è quanto sta accadendo anche in altre città, anche in altre parti del mondo con le quali dobbiamo cominciare a confrontarci per imparare a lavorare meglio. I quartieri monofunzionali, dominati dall’edilizia residenziale pubblica, dovranno essere connessi più efficacemente al resto della città, affiancati anche da progetti di ampliamento dello stock di edilizia a canone concordato, al fine di ridurre la polarizzazione tra l’edilizia popolare e il mercato privato. In questo senso è importante continuare a ricavare quantità di abitazioni ad affitto calmierato anche all’interno di operazioni immobiliari private. A Milano c’è bisogno di casa, nonostante la città abbia lo stock di edilizia residenziale pubblica proporzionalmente più ampio tra le grandi città – il 10% contro il 5% della media nazionale.

Il tema del lavoro dovrà essere affrontato nella sua parte sommersa e più sociale; il lavoro nero e il lavoro mancante, la disoccupazione. Negli anni e nell’emergenza il Comune ha concentrato la sua risposta nell’erogazione di contributi per chi non era occupato invece che nella promozione di percorsi votati alla creazione di posti di lavoro. Bisogna riuscire a superare il sistema passivo e assistenzialistico di aiuti economici e riconsiderare l’importanza di costruire promozione attraverso nuove reti di solidarietà e mutualità, anche solo per far sentire protagonisti attivi coloro che fino a ieri un lavoro lo avevano e per dare prospettive di riscatto alla popolazione più giovane prima che si sieda. Bisogna creare un’alleanza per il lavoro tra territorio, pubblico e imprese, finalizzata ad aumentare lo spazio del lavoro possibile, sollecitando l’edonismo delle imprese, il loro bisogno di esserci e di apparire e valorizzando il lavoro delle B-corp e di quelle aziende che pongono al centro la sostenibilità umana, non solo il rendimento finanziario.

Oltre al tema territoriale è necessario infine fare una riflessione su cosa non stia funzionando nel governo del welfare, animati dalla convinzione che solo il settore pubblico potrà dare le risposte ai bisogni che nessun altro guarda e considera. L’emergenza ha visto attori privati, anche non riconosciuti, reagire, proporre e agire nella città ferita della pandemia. Intercettare il cambiamento significa anche dare dignità politica e riconoscere gli interventi organizzati dal basso, nuovi gruppi, nuove rappresentanze, nuovi modi di porre le domande e di lasciarle porre a chi è in necessità. Nei mesi della pandemia il Comune ha avuto un ruolo di promotore, abilitatore e organizzatore e non solo quello, più tradizionale di fornitore di servizi. L’attore pubblico si è configurato come piattaforma abilitante per la sperimentazione di nuove forme di risposta, rapide, economiche, efficaci.

Bisogna avere il coraggio di analizzare con maggiore sincerità le pratiche e gli interventi, evidenziando dove non funzionano e dove creano effetti avversi, arrivando al punto anche di tagliarli nel conto economico se necessario. È necessario rivedere il modello della co-progettazione nelle sue distorsioni spingendolo verso la co-produzione quando possibile e utile, e provando a indicare obiettivi chiari e valutabili ai singoli processi, anche nella definizione di piani strategici, che permettano di creare filiere di responsabilità distinte, coerenti e misurabili, per quanto possibile, nei loro effetti. Tracciare questa filiera e ridisegnarla significa anche superare la moltiplicazione inerziale e ridondante dei servizi, superare la loro iper-specializzazione a vantaggio di una più forte integrazione e superare un’organizzazione a silos delle risposte.

Uscendo dall’emergenza, ma senza aspettare la fine della crisi, sarà importante lavorare in termini di prevenzione - scardinando anche le distinzioni e le competenze tradizionali - per evitare che la tragedia di questi mesi si protragga per anni sulle spalle delle generazioni più giovani e sulle spalle di chi è ai margini. La prevenzione in questo senso è l’unico strumento che eviterà l’allargamento della platea di soggetti che necessitano di assistenza.

Sono intervenuti Francesco di Ciò (Istituto per la Ricerca Sociale), Gabriele Rabaiotti (Assessore alle Politiche Sociali e Abitative del Comune di Milano), Don Virginio Colmegna (Casa Carità), Rossella Miccio (Emergency), Fabio Carlozzo (REDO sgr), Diego Dominguez (Rugby Camp), Luciano Gualzetti (Caritas), Sabina Siniscalchi (Oxfam Italia), Giampaolo Grossi (Starbucks), Johnny Dotti (ON Impresa Sociale), Gian Paolo Barbetta (Università Cattolica del Sacro Cuore), Lamberto Bertolè (Presidente del Consiglio Comunale)

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