Una Città in Salute

Sintesi del settimo incontro di Fare Milano, a cura di Fondazione Umberto Veronesi.

L’incontro si apre con l’intervento della Vicesindaco Scavuzzo. In una fase così delicata di emergenza, il principale tema, tra i tanti emersi dagli incontri svolti, è quello di una città che intende “mantenersi in salute” in un’ottica di prevenzione, con attenzione particolare per i servizi territoriali. La mattinata si concentra su quattro temi intorno al mondo della salute: formazione e ricerca scientifica; Strutture ospedaliere e Infrastrutture; collaborazione e informazione; prevenzione.

Milano ha una grande concentrazione di enti per la formazione universitaria e di IRCCS di grande livello e può ambire ad essere un centro di eccellenza a scala europea. Durante l’emergenza le università sono riuscite di riorganizzare la didattica in pochissimo tempo, pur con un numero molto alto di studenti. Alcuni insegnamenti appresi in questo periodo riguardano la necessità di una maggiore integrazione tra la facoltà di medicina generale, i medici sul territorio e gli ospedali; inoltre è sempre più evidente che, con l’avanzamento della medicina, i confini tra le diverse discipline (medicina, filosofia della scienza, ingegneria) si sono disgregati. Questo induce a pensare che si debba ripensare ad una formazione che sia capace di maggiori integrazioni: anche la ripartizione tra le specialità dei medici andrebbe rivista alla luce del contesto attuale. Il vero problema è la carenza di health professionals, sia medici che infermieri. La programmazione della formazione dei medici in passato è stata dissociata dal contesto reale, impedendo di formare il numero di professionisti necessari. Ora è chiaro che serve avere non solo più quantità ma anche più qualità, di  medici e infermieri che devono disporre di competenze più specialistiche. Nonostante le preoccupazioni sono aumentate le immatricolazioni alle università milanesi, anche dall’estero, confermando una generale fiducia nel futuro della disciplina.

La ricerca scientifica, in questi mesi è stata rivalutata a livello sociale; dall’altra parte però c’è stata la delusione di una mancata soluzione al problema del Covid. Si è anche osservato che alcune aree di ricerca, che sono state in passato sottovalutate, devono ora essere rafforzate: prima fra tutte l’infettivologia o la genetica medica, che ha riscritto completamente la medicina. In Italia, il problema di fondo della ricerca è che il comparto continua ad essere sotto finanziato. Sebbene i ricercatori italiani siano fra i più stimati in Europa, come si veda dai progetti ERC in cui i ricercatori italiani sono secondi solo ai tedeschi, si continua a vedere una fuga dei cervelli all’estero.

Alcuni cambiamenti portati da questa emergenza diventeranno stabili e avranno un forte impatto trasformativo anche nella ricerca e nella gestione dei centri di ricerca e formazione, come ad esempio Human Technopole, in cui occorrà tenere conto di questi aspetti per andare incontro ad un contesto che in futuro sarà caratterizzato da grande povertà economica e disuguaglianze. Questo significa lavorare in forma di hub e mettere a disposizione macchinari di alta specializzazione a tutti i ricercatori, mettendo in comune le risorse.

Per quanto riguarda le infrastrutture, occorre interrogarsi sui modelli organizzativi e collaborativi adottati durante la pandemia, su cui ci sono stati anche dei momenti di inefficienza. Le logiche emergenziali hanno prodotto processi interessanti, con forme di governance che devono essere mantenute anche in futuro. Ad esempio, per capitalizzare l’esperienza fatta durante la pandemia occorre rendere stabili le innovazioni messe a punto per la cura del Covid, ma al tempo stesso recuperare l’attività diagnostica e di prevenzione degli ospedali che in questi mesi è stata completamente trascurata, con importanti conseguenze sul piano della salute dei cittadini. È importante far capire che non ci si ammala più in ospedale ma, al tempo stesso, in questa nuova fase acuta, occorre fare in modo di proteggere gli ospedali dai pazienti non acuti.

Un altro ambito in cui c’è stata una forte accelerazione riguarda la telemedicina: gli esperti evidenziano che in questo campo non conta tanto la digitalizzazione quanto le scelte di processo, perché è necessario che medici di ospedali diversi possano condividere le cartelle cliniche dei pazienti – con referti e immagini diagnostiche gestite in sicurezza - dalla fase di screening a quella di follow up. La digitalizzazione infatti, nelle esperienze più avanzate di altri sistemi sanitari in Europa, è applicata al processo di gestione del paziente e alla logistica e si avvale dell’utilizzo di app che seguono il paziente anche dopo la dimissione dall’ospedale. La formazione culturale sull’uso della telemedicina, da parte dei cittadini, è fondamentale: perché occorre far capire che la cura non prevede necessariamente uno spostamento presso lo studio del medico e allo stesso tempo che il contatto in video fra medico e paziente deve sempre seguire l’analisi della diagnostica, altrimenti non può avere alcun impatto.

Nell’affrontare modelli di ospedali del futuro viene ricordato che l’ospedale può uscire dalla struttura reale per entrare in una dimensione “virtuale”, anche al fine di perseguire un bilanciamento dei costi e una sostenibilità economica. Anche la configurazione degli ospedali di nuova generazione è cambiata, perché gli spazi sono la conseguenza di un processo organizzativo che ormai è cambiato: con gli strumenti digitali che consentono la connessione con la vita quotidiana del paziente alcune funzioni e spazi non sono più necessari. Inoltre, esistono strutture di nuova concezione, come i patient hotel, che offrono spazi in aree attigue agli ospedali per i pazienti non gravi; gli stessi ospedali vanno ormai progettati con spazi flessibili che possono essere usati sia per le emergenze (anche future) sia per le attività ordinarie.

Dal punto di osservazione di Croce Rossa su quanto accade sia negli ospedali sia sul territorio si afferma che c’è una sempre maggiore difficoltà di accesso ai servizi per le categorie più vulnerabili, sia per una carenza di informazioni sia per una mancanza di strutture in alcune zone più periferiche. Per gli “ultimi” è importante che il bisogno sanitario sia colto insieme ad altri bisogni di natura sociale – che a volte sono essi stessi causa di un problema sanitario: questo lo possono fare più facilmente i soggetti del terzo settore. Per questo tipo di bisogni il servizio sanitario non è attrezzato, soprattutto dal punto di vista culturale. Milano sta facendo passi avanti importanti in questo percorso, ma è importante che le istituzioni portino al tavolo tutti gli attori, inclusi quelli del privato sociale, per accelerare questo processo e per ragionare in termini di sistema.

In questo periodo è anche aumentato il bisogno di informazione – con una comunicazione istituzionale univoca, chiara, affidabile – da parte dei cittadini. Serve un processo di empowerment, per consentire a tutti di utilizzare i servizi e le conoscenze, per ridurre le disuguaglianze, soprattutto in alcune aree del territorio che hanno un’alta concentrazione di fragilità sociali. A questo proposito si evidenzia come sia importante che, tra i portatori di interesse e gli esperti, sia importante promuovere occasioni di confronto.

La diagnostica precoce è una parte dell’attività di prevenzione e cura della salute. L’attività diagnostica dovrebbe essere il più possibile diffusa sul territorio, evitando di affollare gli ospedali, che dovrebbero essere considerati come il luogo per trattare le patologie acute con servizi altamente specialistici. È necessario riprogettare completamente la rete dei servizi sul territorio, incrementando la telemedicina e il sostegno ai pazienti nelle loro case come avviene in altri paesi, come ad esempio la Germania.

A questo proposito viene richiamata la legge 23, per il riordino del sistema sanitario lombardo, come occasione per ripensare alla distribuzione delle competenze e ai servizi sul territorio, anche a partire dalle nuove generazioni di medici. Si registra però anche un problema culturale, che porta sia medici che pazienti ad assumere un atteggiamento poco aperto ad usare i mezzi informatici che si usano nella vita privata, anche per la gestione delle visite.

Sempre in termini di prevenzione, la pandemia ha avuto come effetto indiretto quello di fare capire l’importanza dello sport, non solo come attività agonistica ma come attività motoria regolare. Nell’ambito dei tavoli organizzati da Fondazione Veronesi c’è stata una grande attenzione sulla prevenzione primaria. Si afferma che, proprio in un momento di crisi come questo, è particolarmente importante e urgente comprendere che il sistema non può reggere se non si agisce per prevenire le criticità con il metodo più costo-efficace, che è quello della prevenzione primaria, sui grandi temi: alimentazione, movimento e lotta al fumo. In merito a questi temi la città è chiamata ad una forte collaborazione. La visione della salute deve essere di lungo periodo e proprio l’approvazione, di oggi, della delibera del comune per l’estensione dei divieti di fumo in altre aree della città, è un ottimo punto di partenza. Questo perché il cambiamento delle abitudini è anche un tema di cultura.

In merito all’attività fisica viene evidenziato come esista un gender gap anche per la pratica dello sport, dato che le donne hanno una minore disponibilità di tempo rispetto agli uomini e faticano a ritagliarsi degli spazi per sé e ad abituarsi a prendersi cura del proprio corso (anche per la diagnostica precoce). Per questo sarebbe utile avere una città più sicura e accogliente per favorire lo sport delle donne, in particolare la corsa.

Ancora sulla prevenzione, il il tema di un’alimentazione sostenibile è collegato non solo alla salute ma anche all’equità. Durante la pandemia sono peggiorati molti parametri (sovrappeso, disturbi psichici ecc.) soprattutto nelle fasce sociali più svantaggiate ed è ormai noto che questi problemi devono essere trattati in modo anticipato e mirato sui diversi gruppi sociali. In questo contesto sono importanti le sperimentazioni di urban health (orti urbani, spazi per l’aggregazione e lo sport, piste ciclabili), con una mappatura del territorio per capire quali sono le aree che devono essere maggiormente coperte. È importante anche perseguire alcune innovazioni che puntano ai giovani come motore di cambiamento, per esempio nell’ambito delle mense scolastiche, e iniziare a sviluppare un dibattito intorno all’ipotesi di introdurre tasse locali sul tabacco. Milano potrebbe diventare un laboratorio per sperimentare un paradigma di salute veramente nuovo, visto che mai come ora è risultato chiaro che la salute è un fattore chiave della nostra vita privata e sociale.

Le scuole e le mense scolastiche, anche grazie al lavoro di Milano Ristorazione, sono state fra i principali terreni di sperimentazione con iniziative volte a perseguire alcuni importanti cambiamenti nella direzione della salute e della sostenibilità, con attenzione sia alla riduzione degli sprechi sia alla trasformazione del pasto in un momento educativo. Le scuole di cucina purtroppo non hanno ancora inserito all’interno dei loro programmi i concetti chiave di una cucina salutare e sostenibile: la ricerca e lo studio sugli alimenti dovrebbero diventare parte integrante della vita dei cuochi nelle nuove generazioni.

 

Con la partecipazione di Anna Scavuzzo (Vice Sindaco Comune di Milano), Paolo Veronesi (Fondazione Veronesi), Marco Simoni (Human Technopole), Marco Montorsi (Rettore Humanitas), Michela Matteoli direttore Istituto di Neuroscienze del CNR, Margherita Carabillò, (TECNICAER e ICMQ BIM), Antonio Sanmarco (CEO Ultraspecialista), Luigi Maraghini (Croce Rossa Milano), Filippo Magnini, Atleta, Gabriella Doneda, Pinck Ambassador, Donatella Barus (Magazine Fondazione Veronesi), Roberta Guaineri (Assessora Turismo, Sport e Qualità della vita), Bernardo Notarangelo (Milano Ristorazione), Elena Dogliotti (Fondazione Veronesi), Simone Salvini (Fondazione Veronesi)

 

 

 

Avanti
Avanti

Nascere, Crescere e Vivere a Milano